Le Chiese di Lozzo di Cadore

L'EX CHIESA PARROCCHIALE DI SAN LORENZO

Era dedicata a san Lorenzo martire e già nel 1226, esisteva come cappella della pieve di Vigo, con dimensioni assai modeste probabilmente a Prou, nella parte più alta dell'attuale abitato o in una delle borgate scomparse. Secondo l'uso antico era fornita di cortina (cioè di cortile con circostante cimitero) e forse di portico, sotto il quale si scrivevano gli atti di compravendita. Si sa che fu rifatta poco dopo il 1460 e che il campanile fu portato a termine dopo il 1493. Distrutta dalle truppe di Massimiliano, fu ricostruita nel 1530 sul posto dove ora si trova, e il suo beneficio immobiliare venne accresciuto di un bosco donato dalla Regola nel 1574. Dopo che ebbe sofferto i danni di un incendio nel 1612, la chiesa fu arricchita di preziosissime tele, di altari, di paramenti e di oggetti sacri in genere, tanto da essere considerata fra le più ricche del Cadore. Il "Libro dei Sindaci", ossia degli amministratori di S. Lorenzo, in quel tempo registra ogni anno ingenti spese per l'abbellimento del tempio. Fra i molti pittori che vi lavorarono, si ha notizia certa del cugino di Tiziano, Tommaso Vecellio (1587-1625), che nel 1618 vi dipinse il coro; di un maestro Iseppo da Luca, di un maestro Valerio e di Felice Arsié da Longarone. Quando il marigo si recava a Treviso, a Chioggia o a Venezia per vendere legname o riscuoterne l'importo, era spesso incaricato di acquistare qualche oggetto sacro di valore, e alla spesa concorrevano in misura varia la Regola, le Chiese e le Confraternite. Frequenti erano le spese per dorature delle pale di altare, dei fanali portatili, della traversa di ferro sotto a volta del coro, ecc. E tutto ciò quando, come si è ricordato, numerose passività aggravavano la miseria del popolo e si provvedeva all'erezione di altre due chiese: quella di S. Rocco prima, e quella della Beata Vergine di Loreto poi. Tanto era vivo nel cuore dei nostri padri il sentimento religioso! A distanza di soli due secoli, nel '732, Lozzo decide di ricostruire il suo maggior tempio in previsione dell'eventuale caduta "originata dall'antichità e terremoti", e ne affida l'esecuzione all'architetto bellunese Domenico De Min il quale ci dà in breve tempo la chiesa attuale, destinata a contenere per poco più di un secolo i tesori accumulati nella precedente. Il coro però non è del De Min, ma di Antonio Laguna di Lozzo, che lo rifà nell'806. Quella parte del vistoso patrimonio artistico che non cadde nelle mani delle truppe di Napoleone, venne quasi totalmente divorata dalle fiamme che arsero la chiesa il 15 settembre 1867. Lo splendido altar maggiore di marmo, erettovi nei primi del secolo scorso, è ora sostituito da uno di pietra, che del precedente riproduce rozzamente le linee generali. Ha due statue in legno di san Lorenzo e Santo Stefano, opera dello scultore G. B. De Lotto da San Vito e dono di don P. Da Ronco. La povertà dell'insieme rappresenta un evidente contrasto con quella che dovette essere la ricchezza dei marmi preesistenti; e le nude pareti del coro, sebbene provviste di discrete spalliere ed inginocchiatoi, mestamente richiamano lo splendore dei passati affreschi. L'altare di S. Croce o dell' Addolorata, dello scultore Paolo Possamai da Solighetto, collocatovi nel '912, possiede una delle ultime belle opere del pittore Tommaso Da Rin di Laggio, raffigurante Maria, che ai piedi della Croce, rivolto lo sguardo al Cielo, solleva da terra il Divin Figliuolo per accoglierlo amorosamente nel suo grembo. Quello di fronte, dedicato alla Beata Vergine del Rosario, è dello stesso scultore e vi fu collocato nel '911 per interessamento di Giuseppe Del Favero China. Nella sua nicchia era raccolto, fino a qualche anno fa, il principale lavoro d'arte sopravvissuto alle vicende del tempio: "le mani, la testa e i piedi della Vergine, di san Domenico e di santa Caterina, oltre all'intero corpo del Bambino, riprodotti in legno e adattati, con altre parti rivestite di comuni panni, in modo da rappresentare il noto Gruppo della Beata Vergine del Santo Rosario". L'opera, di squisita fattura, è attribuita al Brustolon, e fu sottratta all'incendio del 1867, dalla generosa dedizione del sagrestano Marco Baldovin Monego, detto Ono, che per riuscirvi abbandonava alle fiamme la propria abitazione. (Niente essendosi trovato in proposito fra le vecchie carte del paese, vuole la tradizione che quando, 300 anni addietro, si dovette decidere di sostituire nella chiesa parrocchiale una sciupatissima tela della Regina del Rosario, prevalessero i voti di quelli che simpatizzavano per uno sfarzoso simulacro della Vergine che, in panni d'oro, seduta con il Bambino in trono, si potesse portare processionalmente tra il popolo al canto del "Regina saçratissimi Rosari, ora pro-nobis". I regolieri chiesero anzi che l'immagine prediletta venisse accompagnata da quelle dei santi Domenico e Caterina. Si fece il nome dello scultore bellunese Andrea Brustolon, a Venezia e a Roma già in grande rinomanza, e, al momento dell'acquisto, si pretese ancora che il gruppo fosse scortato da un cane con una torcia accesa tra i denti, a ricordare il sogno della Beata Giovanna d'Ara, madre del santo di Guzman, che stava per nascere. Ancor prima del seicento quei Santi erano onorati a Lozzo con particolari atti di culto, e, fino all'incendio del 15 settembre da quella notte. cioè dopo che anch'esso era stato portato in salvo sulla "riva de le vace", il cane non fece ritorno alla chiesa, e inutili riuscirono le più effettuose ricerche. Fu allora che un ingegnoso artigiano del luogo, certo Gé non meglio nominato, dotato di una qualche inclinazione per l'arte (tanto che di lui si ricordano un dipinto di san Giuseppe nella stessa parrocchiale e alcune figure sulle pareti esterne della chiesetta del cimitero) si accinse a scolpire un nuovo cagnolino, su modello di quello perduto. E fu tale l'impegno, che soffermandosi di tanto in tanto a considerare i particolari del proprio lavoro, l'insoddisfatto artista, rammaricandosi con se stesso, continuava a ripetere: "Ha gli occhi di cane, e non è un cane... Ha le orecchie di cane, e non è un cane... Ha il muso di cane... e non è un cane...". Comunque, sta di fatto che ogni anno, nel giorno anniversario della vittoria di Lepanto, il cane di Gé scende ancora fra la gente di Lozzo e dei paesi vicini a celebrare il trionfo di Maria). Attorno a questa rappresentazione sacra è raccolta la più viva venerazione dei fedeli, che processionalmente e con grande pompa l'accompagnano attraverso il paese il giorno del Rosario e la domenica successiva. In tutti i periodi dell'anno, e specialmente nel mese di Maria, ai piedi di quell'Altare, sotto lo sguardo compiacente della Vergine, si raccolgono i fedeli per sciogliere coi loro canti i voti più riposti del cuore. "Qui", come già sulla fine del secolo scorso scriveva Antonio Ronzon, "recano sovente il loro tributo di gratitudine e d'amore, tradotto in un cero o in un fiore, quanti hanno profondo il culto della Gran Madre". Il secondo altare di sinistra, dedicato a Cristo Re, è costruito in legno, ferro e cemento. Lavoro di Valentino Calligaro Scot e di Marco Baldovin Carulli, su interessamento del primo e in piccola parte per contribuzione di alcuni emigranti. Fornito di statua policroma, dono di Dora Gregori ed esecuzione d'uno scultore della Vai Gardena, sta a dimostrare quanto potrebbe la pubblica generosità, se stimolata e bene consigliata. Dalla Vai Gardena viene pure la statua di san Giuseppe, della nicchia presso l'altare dell' addolorata, dono del villeggiante Romano Funes di Venezia. Il grande lampadario pendente nel punto di mezzo della navata è dono di lozzesi emigrati in America. Sul pavimento, a destra, incise nella pietra che chiude la tomba costruitasi dal primo curato di Lozzo, Gaspare De Mejo, si leggono le seguenti parole:

D.O.M. LATET UL TIMUS DIES UT OBSERVENTUR OMNES DIES

 e più sotto in uno scudetto:

P.G.M.C. MDCCII

§

Per un voto del Parroco don Pietro Costantini, al quale vi aderirono tutti i fedeli, venne costruita una nuova Chiesa dedicata alla Regina del Rosario. Conseguentemente l’ex Chiesa Parrocchiale venne sconsacrata e rimase per molti anni inutilizzata ed abbandonata. Come si può evincere dalle notizie sopra riportate, l’ex chiesa parrocchiale rappresenta una memoria storica e religiosa della comunità di Lozzo. Per questo motivo nel maggio del 1999 il Comune ha acquisto l’edificio. Il notevole restauro susseguito all’acquisto dell’ex Chiesa Parrocchiale è stato possibile grazie ai contributi della Fondazione Cariverona, della Regione Veneto – Fondi Europei – del Consorzio B.I.M. Piave. Dopo l’inaugurazione avvenuta nel luglio del 2008 sono stati organizzati molti concerti sia nel periodo estivo sia durante le festività natalizie, si sono tenuti convegni a livello provinciale, è stata ospitata una mostra internazionale sull’architettura di montagna con due convegni che hanno visto la partecipazione di architetti di fama europea ed ancora altre mostre realizzate dalla Biblioteca, dal Club Alpino Italiano e da altre associazioni.

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NUOVA CHIESA

Erano i primi giorni di ottobre del 1944, quinto anno della seconda guerra mondiale. Un reparto militare tedesco aveva subito una sanguinosa aggressione dai partigiani in località "VaI di Croce", limite del territorio comunale di Lozzo, e il comando nemico, per rappresaglia, aveva deciso di incendiare il paese. Vivevano perciò gli abitanti giorni di angoscia, disertando le proprie case la notte e il giorno, per rifugiarsi nei più nascosti fienili di montagna e frequentando di buon mattino la chiesa, dove, essendo il mese di ottobre, era esposto, secondo la tradizione, il simulacro della Madonna del Rosario. In uno di quei tragici mattini, don Pietro Costantini, zelante parroco del paese e custode geloso dei suoi beni spirituali, durante la santa Messa propose il ponderato voto di costruire una nuova chiesa e di dedicarla alla Regina del Rosario. I fedeli, consapevoli dell'inconsistenza statica della vecchia parrocchiale, vi aderirono prontamente e, scampato il pericolo della distruzione, a guerra finita, fu mantenuto l'impegno. Iniziati, invero, i lavori della nuova parrocchiale nel 1970, per giungere alla sua solenne apertura al culto nel 1973, elemento di sostanziale novità per la vita religiosa di Lozzo, fu rappresentato dall'ubicazione del nuovo edificio sacro, realizzato nel centro urbanistico del paese, presso la Piazza 4 Novembre. Allo scopo fu operato un rimodellamento dell'area compresa fra il Municipio e la piazza, occupando anche spazi già sede di altri edifici; fu dato ampio respiro a un moderno complesso edilizio destinato a comprendere, con la chiesa vera e propria, anche i locali per le essenziali opere parrocchiali. In relazione all'andamento del terreno, alla chiesa fu destinata la parte pianeggiante dell'insieme, mentre gli edifici annessi furono ricavati in un unico sistema architettonico, con andamento rampante sulla collina posteriore. La chiesa è costruita a pianta subquadrata, con disposizione centrale dell'altare e con sviluppo su due piani della parte destinata ai fedeli. L'ingresso, con ampio atrio di disimpegno, si affaccia sulla piazzetta adiacente al Municipio. Pure disposta alla visione permanente di tutta l'assemblea dei fedeli, e dunque nello spirito del voto formulato dai capifamiglia, il simulacro della Regina del Rosario, cui la chiesa è dedicata e che è da sempre, come s'è già detto, oggetto di tanta tradizionale venerazione. Sul fondo, rispetto all'ingresso, alla sinistra dell' altare, è stata disposta la tomba di don Pietro Costantini, che tanto ha dato alla sua Parrocchia, e che con fede, pazienza e tenacia poté, vivente, condurre quasi a compimento l'impegno preso nel tristissimo 1944. Il blocco degli edifici è, nel suo insieme, caratterizzato, nelle linee esteriori, da una copertura montante dalla piazza verso la collina: il tema, rappresentato da un ritmico rincorrersi di vele cilindri che a profilo di catenaria, risulta ben visibile dalla Piazza 4 Novembre, evidenziando il voluto effetto di centralità di un vitale complesso religioso. Alla nuova chiesa manca ancora l'elemento che, del sentimento religioso, rappresenta la voce sonante: il campanile. In effetti, sebbene l'edificio dell'antica parrocchiale sia stato sconsacrato e dedicato ad altri usi, il tocco dell' Ave Maria, lo stormo delle solennità ed i segnali della gioia e della mestizia vengono ancora dalla torre a quello adiacente, sulla strada statale, quasi a segnare, fino a definitiva sistemazione, la continuità fra ciò che fu, per 500 anni, la chiesa di S. Lorenzo ed il nuovo luogo di culto per l'attuale e le future generazioni.

PICCOLA CRONACA della CONSACRAZIONE

(Tratta dal Bollettino Parrocchiale)

La consacrazione era stata programmata per il 25° dell'inaugurazione e benedizione, cioè per l'anno 1998, ma... approvazioni mancate, lungaggini e le solite motivazioni dei tempi lunghi, non hanno "permesso" di realizzare il desiderio. L'anno 2000 (numero "tondo", secolo e millennio alla fine, giubileo...) è stato un buon incentivo a portar tutto a termine. Ci siamo riusciti, con l'aiuto di Dio e di tante persone che hanno collaborato.

* Progetti da rifinire, ditte da interpellare, contratti da firmare... e i tempi diventano stretti. Alla fine di agosto qualcosa si muove e a settembre i lavori diventano quasi febbrili: il "vecchio" presbiterio viene demolito, si scava il profondo canale per la variazione del ricupero aria di riscaldamento, la canalizzazione per i fili elettrici viene impostata, i banchi della chiesa in parte ammassati alla parete di fondo ed in parte disposti in altra direzione, l'altare spostato dà l'impressione d'essere tornati..."come una volta". Anche all'esterno c'è movimento: la scalinata di accesso alla sala parrocchiale ed alle aule superiori viene rivestita di porfido, i muri puliti e pitturati, la parte lignea raschiata e rinnovata…..

* A metà settembre arrivano i marmi e lentamente si comincia a vedere "come sarà!" la "nuova" chiesa. Ogni sera, partecipando alla Messa, si puliscono banchi e pavimento e si notano i particolari aggiunti. Anche la cappella per l'immagine della Madonna si profila sulla nuova parete; ma come sarà? Settembre sta finendo... e il 7 ottobre, data da tempo stabilita con il Vescovo per la consacrazione, non accetta spostamenti. E l'altare? e il battistero e l'ambone e la sede... dove sono? Arrivano mercoledì 4 ottobre. Pesi enormi da spostare e da sistemare! Ma, alla fine, tutto va a buon termine. Venerdì sera l'ultima Messa nella disposizione "provvisoria". E, dopo, si scatena l'opera di coloro che si sono offerti (e sono molti!) di ...ristabilire l'ordine e di preparare per il giorno dopo: banchi da spostare nella posizione definitiva, pulizie profonde a pavimento ed arredi vari (i vetri avevano già subìto il trattamento "pulizia" qualche ora prima!), fiori da sistemare negli spazi stabiliti, impianto elettrico da rivedere, amplificatore, microfoni ed altoparlanti che fanno bizze, i pittori devono dare ancora gli ultimi tocchi... Intanto la statua della Madonna del Rosario viene collocata nella sua nuova "casa" e ritornano (finalmente!), a farle compagnia, i santi Domenico (con il suo cagnolino ai piedi!) e Caterina (santi... del rosario!). La vecchia nicchia, vicina alle porte, trova i nuovi ospiti: sono i diaconi S. Lorenzo, patrono di Lozzo, e S. Stefano; nuovamente insieme a dare uno sguardo ed una protezione ai loro devoti. Don Mariano e don Giuseppe trafficano con i tavolini, i calici, i camici e le casule... (avevano già "trafficato" per i chierichetti!!!!!).

* Qualche giorno prima, presso la Curia Vescovile di Belluno, era stata spezzata una "pietra sacra" usata nella vecchia chiesa di Lozzo (ogni altare del passato, aveva, al centro, una piastra di pietra in cui erano inserite delle ossa di martiri). All'interno un sacchettino rosso, sigillato, ed un piccolo cartiglio con la scritta "Ex ossibus S. Chiari M. et S. Prosperi M.". Riportate queste reliquie a Lozzo, vennero esposte, la vigilia della consacrazione, nella chiesa di S. Rocco (rimessa in ordine ed bene ornata) per la venerazione dei fedeli: una veglia di preghiera dalle ore 21 alle 22 ha accompagnato queste reliquie prima del loro inserimento nel nuovo altare. Una pioggia insistente e non molto gradita ha chiuso in casa tante persone.

* Sabato 7 ottobre. La mattinata tutta spesa agli ultimi ritocchi e spolverate. Un gruppetto di persone ha voluto esser presente, nella chiesa di Loreto, all'ultima celebrazione di questa stagione: hanno pregato e ringraziato anche per coloro che non c'erano. Ore 15: Sotto una pioggia battente, il corteo di associazioni, giunta comunale, chierichetti, sacerdoti (una dozzina), vescovo e fedeli accompagna, dalla chiesa di S. Rocco, le reliquie dei martiri, fino alla parrocchiale.

* La celebrazione: - benedizione dell'acqua ed aspersione dei fedeli, delle pareti e dell'altare; - canto solenne del Gloria in excelsis; - liturgia della parola con la preghiera di Salomone nella "consacrazione" del tempio di Gerusalemme; un brano della prima lettera di S.Pietro dove si afferma che noi siamo pietre vive di un edificio spirituale; e il Vangelo dell'annuncio dell'angelo alla Madonna (la chiesa di Lozzo è dedicata alla Madonna del Rosario e siamo proprio nel giorno di questo ricordo). - nell'omelia il Vescovo richiama questo impegno di essere pietre vive nella comunità e di imitare Maria nella disponibilità a Dio e agli uomini che ci vivono accanto; - fatta la professione di fede, inizia la parte centrale della consacrazione.

* Le litanie dei santi vengono cantate perché le loro preghiere si uniscano alle nostre, in questa supplica solenne ed accorata. Poi le reliquie dei martiri vengono collocate, dal vescovo, nel piccolo sepolcro per loro preparato sotto la mensa dell'altare. Inizia la SOLENNE PREGHIERA DI DEDICAZIONE con un forte richiamo alla sacralità della chiesa (edificio) e alla santità della Chiesa (persone). Avvicinatosi all'altare, il Vescovo versa il crisma sulla mensa ed ai quattro angoli e poi unge tutta la mensa. Affida poi a tre sacerdoti (don Elio, don Mariano e don Giuseppe) il crisma per l'unzione delle quattro croci poste sulle pareti della chiesa. Un grosso braciere con carbone acceso viene posto al centro dell'altare per farvi ardere l'incenso che vi viene posto dentro; viene incensato l'altare, il popolo e le pareti della chiesa. Alcune persone astergono la mensa dell'altare, vi collocano sopra le tovaglie e lo ornano di fiori. Il Vescovo consegna ad un sacerdote una candelina accesa, perché accenda le candele dell'altare per la celebrazione dell'Eucaristia. Vengono accesi i quattro ceri posti davanti alle croci delle pareti, le altre candele e le luci: la chiesa si illumina a festa.

* Portati all'altare il pane ed il vino e le altre offerte, la celebrazione prosegue come nelle altre feste.

* Alla fine viene portato un cesto di fiori davanti all'immagine della Madonna come omaggio alla titolare della chiesa ...e del mondo. E poi la firma della pergamena di ricordo della consacrazione: Vescovo, parroco, sindaco ed un rappresentante della parrocchia: in questo caso il nostro Leo, che si è meritato anche un lungo applauso di tutti.

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CHIESETTA DI LORETO

A circa un chIlometro e mezzo dalla Piazza 4 Novembre, sulla via preromana che una volta conduceva a Loreto, alla Chiusa e ai Tre Ponti. La storia del mistico santuario comincia con una leggenda, che leggenda non è. Così la racconta il Ronzon: "C'era una volta un girovago venditor di immagini di Madonne il quale, lasciatosi trovare una sera brutta e scura in quella malvagia strada, fé voto, se scampasse pericolo, di appender per devozione a un albero un 'immagine di quelle tante Madonne che seco portava. Il pericolo naturalmente è scampato, e giunto in salvo, trae a sorte fuor del mazzo un'immagine qualunque e ne esce quella della Madonna di Loreto; ma egli non vuole saperne di quella Madonna (vallo, poi a vedere il perché), la rimette e torna alla sorte; esce per la seconda volta quella di Loreto; trae una terza, e sempre quella. Egli capisce che è la Madonna di Loreto quella che vuoI farsi attaccare ad un albero, e ve l'attacca. Da un'immagine poi si viene ad un capitello e da un capitello alla chiesa che presentemente si vede". Certamente, prima del presente santuario vi era un capitello o un tempietto minuscolo, più tardi corrotto nelle forme originarie per ingrandirne le dimensioni. I competenti d'arte riconoscono nel corpo centrale della chiesetta qualche reminescenza trecentesca, mentre la storia ci dice che anche prima del XVII secolo Lozzo aveva grande devozione "alla Madonna che si venera in Loreto", "anche per l'aiuto portato a quel forestiero che teneva la sua sacra immagine et per altri segni dati". La chiesa prese le forme attuali nel 1658; la sacrestia venne aggiunta un decennio dopo, e l'atrio nel 1785. Dotata dapprima, per ottenerne la consacrazione, di alcuni appezzamenti di terreno dalla generosità di alcuni regolieri, nel 1660 le fu assegnato in beneficio il bosco circostante, detto appunto "di Loreto" con deliberazione della "faula" "seguita a tutti voti, nemine repugnante". All'interno, il cornicione e due bellissimi altari in legno ad intaglio dorato, collocati verso il 1765 e impreziositi nel secondo decennio del presente secolo dall'arte di Tommaso Da Rin: la Madonna di Loreto con san Lorenzo e Sant' Antonio, all'altar maggiore; Santa Anna e San Gioacchino all'altare laterale. Il tutto crea un'atmosfera di particolare devozione. Vi si celebra la Messa ogni sabato e ogni seconda domenica del mese. Feste particolari il 10 dicembre, la seconda domenica di maggio e di luglio.

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CHIESETTA DI SAN ROCCO

Quando la devozione al giovane santo intercessore contro la peste penetrò in Cadore, Lozzo gli eresse un modestissimo altariolo, sul posto forse della più antica chiesa di S. Lorenzo, nella borgata di Prou. Nel 1620 venne sostituito da un tempietto, in cui si celebrava qualche volta con altare portatile e fu dotato "con tutti i voti, niuno contra" di terreno arborato "in luogo detto Fontana", oggi conosciuto col nome di Vizza di S. Rocco, cui si aggiunse nel 1676 una piccola porzione di Campiviei. Distrutta dall'incendio del 1847, la chiesa venne riedificata dieci anni dopo con più vaste dimensioni, su disegno elegantissimo dell'architetto bellunese Segusini, qualche passo più a nord della precedente. Sulla facciata si legge la seguente iscrizione: D (Deo) O (Optimo) M (Maximo) E (Et) S (Sancto) R (Rocho) H (Hoc) T (Templum) D (Dicatum) MDCCCL VII Con l'eleganza delle linee architettoniche, contrasta la nudità fredda delle pareti interne, che danno l'impressione di un tempio abbandonato; mentre con qualche sacrificio potrebbe essere un vero gioiello, anche perché non sono stati commessi finora deplorevoli errori di stile. L'altare di marmo bianco di Verona, con le colonne di broccatello rosso, graziosamente intonato all'ambiente, possiede l'unica opera d'arte: un dipinto in tela raffigurante la Vergine con Gesù Bambino, seduta in alto trono, ed ai lati, in basso, San Rocco, San Sebastiano e San Luigi. E' attribuito a G. B. Vicari di Valle di Cadore. In questa chiesa si celebra di raro, ma tutti i fedeli vi arrivano ancora processionalmente dalla parrocchiale, al canto del Miserere e al crepitar delle "bàtole", la sera del venerdì santo. Qui una volta la gente sostava numerosa per la Messa all'alba di San Rocco (il 16 agosto) quando, deposti lungo la via e sui muretti del sagrato i bianchi sacchetti delle provviste settimanali e gli arnesi da lavoro, saliva ai fienili di montagna per la falciatura e la fienagione.

CHIESETTA MADONNA DEL CIAREIDO 

Come nacque l'iniziativa, primi passi per la sua realizzazione,inizio e compimento dei lavori. L'idea di costruire una chiesetta sulla nostra Monte, ci nacque ancora nell'estate del millenovecentosessantasette in occasione della benedizione della campana, a ricordo dei dispersi in Russia, che fu poi posta sul Pupo di S. Lorenzo. Quel giorno il tempo non era proprio bello e qualche goccia di pioggia scese sull'altare, posto innanzi alla villa Pellegrini, proprio mentre veniva celebrata la S. Messa. Avevamo poi osservato che molte S. Messe celebrate dai Cappellani militari innanzi alla caserma, venivano disturbate da! vento e dalla pioggia. Ad assistere al Sacro Rito, assieme agli Alpini, c'erano villeggianti e paesani, arrivati a Pian dei Buoi per trascorrervi una lieta domenica. La prima domenica di settembre del '67, il giorno in cui a Lozzo si celebrava l'anniversario della distruzione del paese, dovuta ad un violento incendio, un gruppo di suore Dorotee di Udine, che hanno una casa per ferie a Sappada, venne a Monte per fare alcuni schizzi che sarebbero poi serviti da sfondo ad un quadro raffigurante la Madonna. Questo fu pronto nella primavera del '68 e fu portato dagli alpini di Lozzo a Bologna, in occasione dell'adunata nazionale, dove fu benedetto dall'Ordinario Militare durante la S. Messa. Nel maggio del 1968, Ernestino Del Favero si recò in canonica per comunicare al Parroco l'idea di alcuni giovani di costruire una chiesetta alpina a Pian dei Buoi e per avere il benestare all'iniziativa. Il Parroco consegnò al Del Favero una lettera di presentazione per Sua Ecc. Mons.Vescovo rimettendosi alle decisioni del Presule. Una decina di giorni dopo il Del Favero si recò a Belluno dove fu ricevuto in episcopio dal Vescovo Monsignor Muccin, il quale dopo aver letto la lettera del Parroco, assicurò al latore che avrebbe dato adeguata risposta entro breve tempo. Infatti essa arrivò il cinque ottobre 1968 con lettera della Curia Vescovile di Belluno. Si concedeva, in via di massima, così era scritto sulla risposta, di costruire la chiesetta salvo delle clausole da rispettare. I giovani si davano subito da fare per ottenere tutti i documenti necessari. Il ventun ottobre 1968 vennero a Monte due Sacerdoti, rappresentanti della Curia, per scegliere il terreno più adatto alla costruzione della Cappella. Questi erano Mons. Da Rif Cancelliere Vescovile e Don Gamelli amministratore diocesano. Con loro c'era il rappresentante del Comune di Lozzo nella persona del Signor Giuseppe Zanella in Loda. Con lettera del tredici dicembre 1968 la Curia Vescovile comunicò l'approvazione del progetto da parte della Commissione Diocesana di Arte Sacra. Il Comune di Lozzo, il diciotto dicembre 1968, concedeva, su deliberazione unanime dei consiglieri comunali, di dare un appezzamento di terreno di proprietà comunale, per la costruzione della Chiesetta. Anche la commissione edilizia comunale approvava il progetto in data nove febbraio 1969. Durante quell'inverno, il nostro Vescovo consacrò il calice che sarebbe servito per la celebrazione delle S. Messe nella nuova chiesa. Questo atto di culto è di competenza del Vescovo, a differenza degli altri arredi sacri, che possono essere benedetti anche dai Sacerdoti. Nella primavera del 1969 salirono a Pian dei Buoi alcuni maestri di sci di Sappada per vedere se l'ubicazione scelta per la costruzione avesse danneggiato eventuali piste di sci. Si arrivò così, dopo diversi permessi, incartamenti, sopraluoghi, al giugno del 1969, mese che vide l'inizio del lavoro. Durante la prima settimana ebbe luogo l'allestimento del cantiere e del "tabià", dove avrebbe avuto luogo la mensa. Si trasportò da Cofin due tronchi d'albero per l'impalcatura di sostegno del montacarichi, ciò anche grazie all'aiuto di una "gip" degli Alpini che si trovavano a Sora Crepa per le manovre. Allestimmo la cucina e la sala da pranzo con un fornello a gas, tavoli, sedie, pentole varie e altri utensili. Da Lozzo arrivò una cinquecento carica di patate, farina, formaggi, burro, caffè, zucchero, vino, grappa e pane. Nelle domeniche successive ebbero inizio i lavori veri e propri. Furono tracciati i confini della costruzione e quelli che il Comune aveva messo a disposizione per l'area di rispetto. Ogni domenica mattina la sveglia era alle cinque. Ci si trovava in piazza e si partiva, con le vetture a nostra disposizione, per il cantiere. Arrivati a Sora Crepa e salutato Vitale che ci attendeva sorridente sulla porta del rifugio, tutti accudivano ai loro specifici lavori. Alcuni mettevano in funzione la betoniera, altri attaccavano la canna alla fontana, chi trasportava al cantiere badili, picconi, cazzuole e secchi, chi, infine, preparava il montacarichi o accendeva i vari motori. Le donne intanto entravano in cucina per preparare il pranzo. Verso le nove, una di esse saliva alla chiesetta per portare la prima colazione a base di salame, formaggio, pane e vino. Man mano che le domeniche passavano la costruzione prendeva forma. Poste le fondamenta, nelle quali entrarono quintali di cemento, sabbia e ferro, si incominciò a veder crescere i muri perimetrali. I blocchi di cemento, con i quali furono costruiti i muri, vennero trasportati a Sora Crepa, assieme alla sabbia e al cemento, da un trattore durante la settimana e posti sulla strada che porta a Col Vidal. Una domenica mattina li trovammo tutti ed erano più di mille, vicino alle fondamenta. Furono gli Alpini del Settimo a farci risparmiare una fatica. Il pranzo era sempre consumato a mezzogiorno. Le nostre cuoche, Vittoria e Giuditta, ci facevano gustare pranzi prelibati e ogni domenica il menù era diverso. Quando giunse il giorno di S. Lorenzo e quello della Madonna di agosto, ci furono serviti pure il dolce e lo spumante, doni graditi di benefattori. Finito di pranzare all'aperto e sull'erba, si ricominciava a lavorare fino al tramonto. La sera, prima di rientrare a Lozzo, si riponevano e si pulivano gli attrezzi e poi si concludeva la giornata con uno spuntino di patate e "formai nostran". Il giorno della "colmin" fu festa grande al cantiere. Appena Romano, che fungeva da ingegnere direttore, innalzò sopra la trave maestra l'alberello, si fece una bicchierata e una cantata. Questa si ripeté il giorno in cui fu posta la croce sul campanile e fu suonata per la prima volta la campanella. Udendo per la prima volta i suoi allegri rintocchi, lassù, così in alto, ci fu in tutti un attimo di commozione profonda, accompagnata da qualche lagrima. La campanella era stata benedetta in precedenza dal nostro Vescovo nella Sua cappella privata a Belluno, perché doveva essere fissata al muro del campanile. In quella occasione Sua Eccellenza assicurò al Presidente del comitato il Suo intervento alla benedizione della chiesetta. Un particolare ringraziamento esprimiamo alle Autorità Ecclesiastiche, le quali ci furono sempre vicine con consigli e autorizzazioni e con la dispensa dal riposo festivo, accordataci dal Vicario Generale Mons. Santin. Intanto la costruzione cresceva a vista d'occhio. La domenica, in cui sbucammo dalla galleria e ce la vedemmo innanzi con il tetto già finito e con la lamiera messa in opera, tirammo un sospiro di sollievo. Infatti quest'ultima era stata fissata da Alfio durante la settimana e perciò noi, lavoratori domenicali, la vedemmo a lavoro ultimato. Anche alcune rifiniture vennero man mano portate a termine. Un sentiero abbastanza largo fu tracciato fra la strada del Genio e la chiesetta. Questa fu una fatica delle nostre donne che lavorarono sotto la direzione di Ennio Valmassoni. Grazie ai più giovani anche lo scavo attorno all'edificio fu terminato. Ultimamente si costruirono delle cunette per lo scolo dell'acqua piovana e della neve. Chi guarda lo facciata della chiesetta, nota subito la bellezza dei pilastri. Essi sono, come pure il campanile, in pietra viva lavorati a mano: capolavori di Bruno Borca fu Gavino. Non bisogna dimenticare Elio Bedin, il più anziano del gruppo, sempre il primo in piazza la domenica per la partenza e così pure sul lavoro. A Elio si deve la frantumazione di un grande macigno che ostacolava le fondamenta, tutto il lavoro fu fatto a punta e mazzuolo. Il nostro grazie va anche ad altri anziani lavoratori che ci furono preziosi in consigli e lavoro: Angelo Laguna dell'Orbo, che non si assentò mai durante la domenica, ma salì a Monte anche durante la settimana a lavorare; Valentino Zanella Maderlo che tracciò i disegni del "prefil" e delle travi; Giovanni Baldovin fu Lucio che diresse la costruzione del tetto. Molta soddisfazione ci fu data da paesani e da villeggianti che, in occasione di gite a Pian dei Buoi, fecero una visita ai lavori. Alcuni prendevano spunto per donare una somma di denaro a beneficio della nuova chiesa. Un particolare ringraziamento va ad un signore di Roma che, ammirato dalla buona volontà dei nostri giovani, regalò la generosa somma di lire centocinquantamila. Una domenica mattina ascoltammo, nella sala da pranzo del rifugio Marmarole, la S. Messa celebrata dal cappellano Don Paolo, che si trovava a Pian dei Buoi già da una settimana per un periodo di ferie. Quella mattina fu celebrata la Messa nell'interno del rifugio, perché pioveva e quella fu l'unica volta che il lavoro venne disturbato dalla pioggia. Nel pomeriggio, uscito il sole, potemmo terminare il campanile. Ci fu un giorno che a Pian dei Buoi si udì il rumore di ben quattro motori. C'era la betoniera che impastava la malta, un motorino che faceva funzionare il montacarichi per carriole e sassi e un'altro azionato a benzina che dava corrente ad una piallatrice elettrica che lavorava sulle travi del tetto. Forse nemmeno quando si costruì la caserma e il forte non vi furono a Monte tanti motori in azione contemporaneamente. Non si può dire che il comitato non fosse organizzato al massimo. Questo si deve soprattutto alla generosità di privati e imprese, le quali misero a disposizione il necessario. Intanto era trascorsa l'estate in alacre lavoro e si giunse a metà settembre con i lavori più importanti già terminati. Ortensio Caruli installò in cima alla croce del campanile il parafulmine. Gli Alpini, dopo che era ,stato messo in opera il bellissimo pavimento, ci aiutarono a collocare il pesantissimo altare sotto il quale fu collocata una pergamena con il nome dei componenti del comitato. Un giorno salirono al cantiere, accompagnati dal nostro Sindaco, degli onorevoli parlamentari e altre personalità che si compiacquero della bella costruzione. La prima domenica di ottobre si chiusero definitivamente i lavori, Stanchi, un po' abbronzati e con qualche chilo in meno, ma tutti felici e contenti, giovani e più anziani, si prepararono ad aspettare il nuovo anno per le rifiniture. Il Santo Padre, Paolo Sesto, ci fece giungere per l'occasione, la Sua confortatrice e Apostolica Benedizione. Giungemmo così all'estate del settanta; Durante l'inverno si veniva informati, da coloro che salivano a Monte, del buon stato della chiesetta e di come questa sopportava bene gli eventi atmosferici. Domenica 14 giugno salimmo a Pian dei Buoi per le ultime rifiniture. Trovammo il fabbricato in buonissimo stato. Sebbene l'inverno fosse stato particolarmente duro e abbondante la neve, i muri non presentavano lesioni e tutto era in ordine. Alla prima giornata di lavoro ne seguirono altre, finché tutto fu terminato e pronto per l'inaugurazione.

COSTRUITA E ARREDATA DIGNITOSAMENTE LA CHIESETTA ALPINA DI PIAN DEI BUOI E' UN'OPERA D'ARTE

L'insieme, la pala, l'altare, la porta, i paramenti, veri gioielli. Tutta la chiesetta della "Madonna del Ciareido" a Pian dei Buoi, è un'opera d'arte. Nel presentare a lavori ultimati, il com. Ezio Baldovin, sul Cadore del dieci novembre sessantanove, così scriveva: "Presentiamo una fotografia (della chiesa) da cui emerge l'elegante semplicità delle linee in una architettura felicemente ambientata". Tutti coloro che nell'estate scorsa erano saliti a Sora Crepa, fecero gli elogi al progettista e agli esecutori. Certo, se il tetto anziché in lamiera fosse stato costruito in scandola, tutto l'insieme si sarebbe avvantaggiato. Ma il far preferire la lamiera al legno, è stata solamente la differenza di prezzo fra l'uno e l'altro materiale. Entrando nella chiesetta ciò che colpisce subito è la bellezza del altare. Questo è di pietra di Castellavazzo, tutto scolpito a mano, e riproduce lo stemma del Cadore. Le due torri che sorreggono la mensa, hanno i merli sia nel primo piano che della terrazza, intagliati nel sasso e così pure le finte finestre e le porte d'ingresso. La parte inferiore di ciascuna torre è leggermente più grande della parte alta e ha gli angoli scolpiti come se fossero stati costruiti a massi squadrati. Dalle due torri parte una catena in ferro battuto che raggiunge l'albero posto in mezzo ad esse. Anche l'albero è in pietra, ma a differenza delle torri che sono rossicce, è bianco. L'altare è rivolto verso il pubblico come prescrive la nuova liturgia, è alto centimetri ottanta, lungo un metro e trenta e largo centimetri sessanta. Sopra la mensa, sulla parete di fondo, fra le due finestre, c'è la pala nella Madonna del Ciareido. E' un quadro di rame, cesellato a mano di centimetri cinquanta per settantacinque. La Madonna vi è raffigurata seduta. Essa tiene in braccio il bambino Gesù e ha il capo leggermente piegato. Un manto Le scende dalla testa e la copre tutta, da questa esce una mano che regge il figlio. Il bambino Gesù tiene nella mano destra il cappello alpino. Si è voluto mettere nella mano del Salvatore il cappello dell'Alpino, perché questo è il simbolo dei giovani di montagna. Il montanaro non fa né il bersagliere, né l'aviere e nemmeno il marinaio, il montanaro è alpino. Gesù, nel tenerlo in mano, dimostra la sua predilezione e protezione per noi. Dietro la Madonna si scorge il gruppo roccioso del Ciareido con il pupo di S. Lorenzo che fa da sfondo. Sorreggono il quadro tre angeli scolpiti in legno, opera del maestro Andrea Mussner di Selva Valgardena. Due angeli stanno ai lati, mentre il terzo lo porta da sotto con le braccia alzate. Si è preso lo spunto dell' insieme dall'altare della Madonna "Salute del Popolo Romano" che si trova nell'arcibasilica di S. Maria Maggiore in Roma. Altra opera d:arte della chiesetta di Monte, è la porta in ferro battuto fatta stupendamente a mano da Olimpio De Meio Marchi. Questa si divide in due parti: la parte superiore a forma di lunetta a sesto acuto e i battenti veri e propri. Nella lunetta vi è raffigurata una Madonna con Bambino fra foglie e fiori. Su ciascuno dei battenti vi è modellata, nella parte inferiore, un'anfora. Da questa si ripartono dei rami con sopra foglie e fiori di montagna, fra i quali primeggia il cardo. Anche la Via Crucis è molto bella. Sono quattordici croci greche in legno che portano scolpita in mezzo la testa di Cristo, incoronata di spine: pure scolpita opera di Andrea Mussner di Selva. Caratteristici anche i candelieri e le due lampade che sono ai lati dell'altare, ricavate queste ultime, da due bronzini. Abbiamo voluto che anche nell'arredamento sacro la chiesetta non sfigurasse. Tre sono i paramenti completi per la Messa, tutti eleganti e ben fatti: uno rosso per le feste dei Martiri, tipo S. Lorenzo, uno verde per le domeniche e uno in semisdoro per le solennità. Anche come amitti, purificatoi, corporali, ce nè in abbondanza. Bellissimo è anche il calice d'oro e d'avorio, forse troppo per una chiesetta di montagna, ma la donatrice non ha badato a spese. Non dimentichiamo la tovaglia dell'altare per le grandi occasioni, tutta ricamata a mano. Un elogio alla donatrice che vi ha ricamato sopra tutto un inverno.

IL SIGNIFICATO DI UN NOME

 Perché abbiamo intitolato la Chiesetta alla Madonna del Ciareido Gran parte dei santuari grandi e piccoli dedicati alla Madonna, in Italia e nel mondo, portano il nome della località dove sorsero. Abbiamo così la Madonna di Lourdes, di Fatima, di Pompei, di Castelmonte, di monte Berico, di monte Lussari, di Barbana, di Oropa, di Luggau ecc. Anche in Cadore abbiamo degli esempi: la Madonna della Molinà, la Madonna delle Tre Crode alle Cime di Lavaredo e la Madonna del Cadore nel villaggio dell' Agip a Borca. Quando avemmo l'idea di costruire una chiesetta a Sora Crepa e di dedicarla alla Madonna, pensammo che il miglior titolo sotto cui venerarla sarebbe stato quello del Ciareido, la bellissima montagna: che si innalza sopra Pian dei Buoi. Tutti i Lozzesi sanno che il Ciareido è l'ultima propaggine delle Marmarole, quella cioè che parte da Pupo di S. Lorenzo e finisce al Pian del Paradiso. Quando venendo dalla pianura Veneta o dalla città di Belluno arriviamo a Ponte delle Alpi, alzando gli occhi, in fondo alla valle del Piave, scorgiamo il Ciareido e il Pupo. Il Ciareido con il Cistelin e la Croda Bianca, sono stati immortalati dal sommo pittore Tiziano Vecellio nel bellissimo quadro della "Presentazione della Vergine al Tempio", che si trova all'Accademia di Venezia. Se è vero però che i santuari Mariani portano il nome del luogo dove si trovano, hanno anche un titolo proprio di Maria Santissima riconosciuto dalla Chiesa, esempio: l'Immacolata di Lourdes, il Rosario di Pompei ecc. Noi dedicheremo la nostra chiesa a "Maria SS. Madre di Dio". Questo è, a nostro parere, il più bel titolo di cui si gloria la Madonna e anche il primo dell'anno. Nella lapide che è stata posta nell'atrio della chiesetta di Pian dei Bui è scritto: La chiesetta di Monte, possiamo dirlo senza smentita, è stata la più descritta fra le sue consorelle alpine. Essa è ora conosciuta non solo fra noi, ma a mezzo dei vari giornali, anche all'estero. La R.A.I. attraverso il "Giornale del Veneto" ne ha parlato in parecchie trasmissioni. Il Gazzettino in almeno una decina di edizioni. L 'Avvenire d'Italia, il giornale dei Cattolici Italiani, nel numero di domenica dodici ottobre sessantanove, riportava, con la storia, la benedizione inviataci dal Santo Padre. Sull'Amico del Popolo, settimanale della diocesi di Belluno e Feltre, Sono apparsi due articoli con foto, uno annunciava l'opera e l'altro scritto in occasione della benedizione della campana da parte del nostro Vescovo Mons. Gioacchino Muccin. Il settimanale più venduto in Italia, il quinto in Europa, il settimanale che viene letto da otto milioni di persone, La Famiglia Cristiana, ha pubblicato una bellissima foto della chiesa in costruzione con didascalia. Il Cadore, il mensile che raggiunge i Cadorini all'estero, ne ha parlato più volte, pubblicando pure la foto della costruzione terminata, con una bellissima presentazione del direttore comm. Baldovin. Ricordiamo per ultimo "Bellunesi nel Mondo", il mensile della associazione Emigranti Bellunesi, che in un articolo del novembre '69, esaltava il contributo degli emigranti di Lozzo quali, con personale sacrificio, hanno voluto essere presenti seppur lontani.

Domenica 26 luglio inaugurazione e benedizione della

CHIESETTA ALPINA DI "PIAN DEI BUOI"

La cerimonia è stata officiata da Sua Ecc. il Vescovo. Presenti le maggiori autorità della zona e numerosa folla. L'inaugurazione di una chiesetta, pur piccola come la nostra, non è cosa di tutti i giorni e specialmente se questa è stata costruita a millesettecento metri d'altezza, gratuitamente e volontariamente. Festa grande perciò e non solo per il comitato che l'ha voluta e realizzata, ma per i numerosi che, con offerte in denaro, mezzi, viveri, lavoro gratuito, hanno permesso la realizzazione dell'opera. Ma festa anche per tutta la popolazione di Lozzo, perché l'idea è nata fra i suoi figli, i quali hanno dimostrato che, in un mondo corrotto e disunito come l'attuale, l'unione e la concordia fanno grandi le piccole cose. Il sogno di tutti era la costruzione di una chiesetta a Pian dei Buoi. Una volta salirono lassù i pastori con le armente, gli alpini per il campo, i boscaioli e coloro che dovevano provvedere alla fienagione. Ora esso è meta, e lo diverrà sempre di più, per lo sport, per il riposo settimanale o semplicemente per una gita. Quante vetture vediamo ogni anno di più attorno alla caserma e al rifugio? Molti nostri paesani hanno costruito casette e rifugi adattando i vecchi "tabià". Altri in un prossimo futuro li seguiranno, e la nostra Monte diverrà sempre più frequentata. Per dare comodità a tutti è sorta la Chiesetta della Madonna del Ciareido. Essa è piccola, tutti non potranno entrarci, ma nelle domeniche, sotto l'atrio, è possibile collocare un altarino e spazio attorno c'è fin che si vuole. Il comitato ha voluto, per la festa dell'inaugurazione, stampare un apposito libretto. In esso troverete le più belle foto scattate al cantiere, quelle delle varie cerimonie precedenti, i nomi dei donatori, una piccola cronaca della più bella e indimenticabile estate della nostra vita, i vari permessi per l'inizio del lavoro. Pian dei Buoi vi attende con la sua Chiesetta, i suoi boschi, le sue praterie, i suoi meravigliosi paesaggi.

IL COMITATO Da Pra Mar. Gabriele, Armando Laguna, Mario Valmassoni, Angelo Calligaro Ferino, Ernestino Del Favero, Vivo Laguna., Tranquillo Calligaro, Vittoria Da Pra, Rino Zanella, Vitale Calligaro, Esperio Del Favero, Angelo Da Pra, Romano Da Pra, Giangiacomo Da Pra, Amanlio Da Pra, Remo Calligaro Moio, Lorenzo Da Pro Frizze, Grazioso Da Pra Fauro.

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CAPITELLO DELLA MADONNETTA

Il Capitello della Madonnetta di trova a un chilometro dal centro di Lozzo, sulla strada per Auronzo, Vigo e Lorenzago, poco prima del Ponte Nuovo. Costruito nel 1780, all'incrocio della statale con l'antica via che scendeva dal Col Campion al Ponte di Pelos, lo si volle rispettoso di più confacenti linee nel 1928, affinché ospitasse più decorosamente una riproduzione in legno della Beata Vergine di Loreto. Nell'ottobre del 2001, a seguito del furto della statua in legno della B.V. di Loreto e di altri arredi sacri presenti nel capitello, è stata celebrata nella Chiesa di Loreto una S. Messa di riparazione, con la benedizione della nuova statua della B.V., non più in legno ma in ceramica. Successivamenrte, in corteo, la nuova statua è stata portata nel Capitello. L'iniziativa era partita dal Vigili del Fuoco Volontari e dagli Alpini di Lozzo.

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